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Dimmi una cosa gentile

di Elasti

«Dimmi una cosa gentile che hai fatto nelle ultime 24 ore!»
«…»
«Su! Veloce!»
«Ho sorriso alla mia vicina di casa»
«Non vale! Dimmene un’altra. Deve essere una buona azione»
«Ho aiutato mio figlio a…»
«Non vale! Quello verso i figli si chiama accudimento, non buona azione»
«Mi sono fermata alle strisce pedonali per far passare un ragazzo con un cane»
«Quello è dovere, ed è sancito dalla legge. Non è una scelta»
«Uhm. Non saprei allora…»
«Sei andata a trovare un malato solo in casa?»
«No»
«Hai verniciato una panchina pubblica malridotta?»
«No! Né penserei mai di farlo!»
«Hai regalato il tuo biglietto di Guerre Stellari a un bambino?»
«No, i miei figli potrebbero disconoscermi, se lo facessi!»
«Hai offerto un caffè a qualcuno in coda dietro di te al bar?»
«No!»
«Hai lavato la macchina al tuo vicino di casa?»
«Non lavo mai nemmeno la mia, di macchina, figuriamoci se lo faccio per il vicino di casa!»
«Non ti vergogni?»
«Ma… No, cioè, di certo potrei fare di più e di meglio, ma proprio vergognarmi, no!»
«E fai male! Ripeti con me!»
«Cosa devo ripetere con te?»
«Da domani farò almeno una buona azione al giorno»
«Devo proprio?»
«Sei un essere umano orrendo».

La voce della mia coscienza mi tormenta da quando ho letto la storia di Congresbury, un piccolo paese, nel Somerset, in Inghilterra, i cui 3.500 abitanti, per celebrare gli 800 anni della fondazione della chiesa anglicana locale, hanno deciso di fare 800 buone azioni, certificate imbucando un biglietto anonimo in una cassetta apposita nella sacrestia.
Lo ha raccontato La Repubblica, la scorsa settimana, e ne hanno parlato diffusamente tutti i giornali britannici.
L’obiettivo è stato raggiunto ma, poiché la gentilezza crea dipendenza, gli abitanti di Congresbury hanno deciso di andare avanti, in questo virtuoso cammino che, a quanto pare, li rende più buoni, più simpatici e più felici.

«Ok, mi hai convinto»
«Laverai la macchina del vicino?»
«Ecco, no, non esageriamo»
«Allora vernicerai le panchine ai giardini?»
«Nemmeno. Fa troppo freddo e non so dipingere»
«Allora?»
«Non mi mettere l’ansia. Ci penso e poi agisco. Però mi piace molto l’offerta del caffè al tizio in fila dietro di me»
«Bene. Ti aspetto al varco».

La gentilezza è una pratica nobile che fa bene a chi la riceve ma soprattutto a chi la compie. Quindi, se, domani, una sconosciuta, davanti a voi in coda al bar, vi offrisse un caffè, non è pazza e non sta cercando di sedurvi. Vuole solo essere gentile, per imitare i fantastici abitanti di Congresbury e per mettere a tacere una coscienza petulante.

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