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Gli immigrati affonderanno l'Inps

C’è una tegola che grava sui conti dell’Inps. Un rischio concreto che però i tecnici e i politici cercano di occultare sotto strati di buoni sentimenti. (...)

(...) Quante volte abbiamo sentito ripetere che «gli immigrati salveranno le nostre pensioni»? Beh, le cose stanno in un modo un po’ diverso. A spiegarlo è Gian Carlo Blangiardo, docente all’Università di Milano Bicocca, tra i più autorevoli demografi in Italia. Non un pericoloso populista, dunque, ma uno studioso di rango, senza pregiudizi (lo dimostra il titolo di uno dei saggi dai lui curati sull’ im migrazione: L’ immigrato. Una risorsa a Milano ). Blangiardos nocciola dati, e ci fa aprire gli occhi su un problema molto serio.

Giorni fa La Stampa ha pubblicato un articolo sul futuro prossimo del nostro sistema pensionistico. E ha indicato il 2030 come «anno zero», quello in cui i conti dell’Inps saranno in pericolo. Che cosa accadrà?«Arriveremo al punto in cui il sistema pensionistico sarà a rischio a causa delle variazioni dei potenziali pensionati. Gli ingressi nel sistema pensionistico tenderanno ad aumentare e crescerà il divario fra chi lascia la pensione (perché muore) e chi ne riceve una. Allora il sistema pensionistico dovrà cercare di far quadrare i conti. Ma c’è un altro problema». Ovvero? «È quello che io chiamo “effetto invecchiamento importato”». Di che cosa si tratta? «A partire dal 2030 avremo numerose persone non nate in Italia che raggiungeranno l’età per andare in pensione (attorno ai 65 anni). Parliamo di cir- ca 200 mila persone all’anno che si aggiungono ai nostri figli del baby boom degli anni 60. Quindi non solo avremo a che fare con persone nate e invecchiate in Italia, ma anche con stranieri nati altrove e invecchiati qui».

Quali saranno le conseguenze di questo «invecchiamento importato»?«Ci saranno per l’appunto circa 200 mila persone l’anno che diverranno anziane e avranno diritto alla pensione. Il fatto è che si tratta di soggetti che hanno iniziato tardi a contribuire. Perché magari si sono regolarizzati in età avanzata, anche a quarant’anni. Succederà quindi che queste persone avranno diritto alla pensione, ma i loro assegni saranno estremamente bassi, forse sotto i minimi di decenza. Se fra quindici anni ci troveremo tantissima gente in queste condizioni, qualcuno - anche legittimamente - dirà che queste persone non hanno abbastanza, e che si deve intervenire».

Nel senso che lo Stato dovrà in qualche modo aumentare quelle pensioni basse.«È un problema latente, ma succederà. E dobbiamo tenerlo presente al momento di fare leggi e riforme».

Molti sostengono - lo ha detto anche il presidente dell’Inps Tito Boeri- che gli im - migrati sono necessari per pagare le nostre pensioni.«Questa è una affermazione che va letta nel modo giusto. Le faccio un esempio su di me. Fra tre anni andrò in pensione. Se guardo quello che verso oggi, tra l’università e il resto, e considero quello che ottengo in cambio, risulto una sorta di benefattore. Ma non sarà sempre così. Io mi aspetto che presto lo Stato mi renda quando andrò in pensione quello che io ho versato».

Lo stesso ragionamento vale per gli stranieri che oggi «anticipano» denaro che in seguito dovranno legittimamente ricevere.«Sugli immigrati non possiamo limitarci a fare un discorso di cassa. Oggi il bilancio dell’immigrazione può essere anche positivo, perché abbiamo persone giovani che versano i contribuiti e non incassano. Boeri dice una cosa vera quando sostiene che i soldi degli stranieri servono anche a pagare le pensioni erogate oggi. Ma il ragionamento non può fermarsi qui. Dobbiamo considerare il sistema di competenza. E cioè calcolare che quello che viene versato oggi a fini contributivi è una anticipazione. Gli immigrati non stanno dando un contributo al Paese: stanno versando una somma che sta lì in attesa di essere restituita».

Quindi l’arrivo degli immigrati non salverà il nostro sistema pensionistico, tutt’altro.
«Ripeto: non si possono fare solo discorsi di cassa. Certo, un vantaggio l’immigrazione lo porta, da quel punto di vista. Ma i contributi versati oggi dagli immigrati giovani non risolvono il problema dell’invecchiamento della popolazione».

Perché anche gli immigrati invecchiano, appunto.
«Per invertire la tendenza sull’invecchiamento, servirebbero flussi di immigrati tali da pompare costantemente persone giovani, al ritmo di almeno 400-500 mila individui all’anno».

Beh, è quello che alcuni politici e analisti auspicano o teorizzano.
«Certo, una cosa del genere rallenterebbe l’invecchiamento. Ma porrebbe una serie di problemi collaterali. Come si fa a integrare un numero così alto di persone? Da tempo studiamo il problema dell’integrazione. Quello che emerge è che la vera soluzione è il tempo. Più c’è anzianità migratoria - cioè più gli immigrati passano del tempo qui - più c’è la possibilità che si integrino. Ma se hai ogni anno dei flussi di giovani così alti, come si fa a integrare? Il sistema ha dei limiti».

Dunque oggi l’immigrazione non risolve il problema dell’invecchiamento.
«Lo sposta. Gli immigrati ci danno una boccata d’ossigeno. Poi però anche gli immigrati invecchieranno e i nodi verranno al pettine».

Nel senso che dovremo restituire i loro i contributi che oggi versano per avere domani una pensione.
«Certamente, visto che solo una minima parte rientrerà al Paese d’origine. Del resto, scusate, ma non possiamo pensare che gli stranieri siano privi di buon senso. Se uno arriva qui da giovane e poi invecchia, perché dovrebbe andarsene proprio in tarda età? E cioè quando ha più bisogno di assistenza, quando magari ha figli e nipoti, insomma una famiglia? Dovrebbero tornare a casa da vecchi? Ma nemmeno per idea. Restano qui, e usufruiscono dei servizi. Hanno capito come funziona il sistema e se hanno dei diritti li esercitano. È molto raro che il sogno di tornare in patria si concretizzi in vecchiaia. Anche perché i legami si allentano. Se uno vuole tornare a casa lo fa magari durante le vacanze, non certo rinunciando alla cittadinanza o an-- Tito Boeri, presidente dell’Inps, ha previsto che la generazione ’80 andrà in pensione a 75 anni [LaPresse] che solo alla residenza e ai benefici che porta».

O magari torna a vivere in patria, ma con la pensione italiana. Succede già. In sostanza, quello che gli immigrati ci danno oggi dovremo renderlo poi, probabilmente con gli interessi.
«Sì, quello che ci danno dovremo restituirlo, forse anche di più. Prendiamo una cosa che dice Boeri, e cioè che ci sono gli immigrati che versano contributi, magari per un periodo limitato, e poi se ne vanno. Motivo per cui abbiamo accumulato un tesoretto da 3 miliardi. Sinceramente, io penso che se quel tesoretto non viene utilizzato in fretta, rischiamo seriamente di perderlo. Qualcuno dirà che non è giusto tenerselo.

Prima o poi l’Unione europea o qualche altro organismo simile sosterrà che non stiamo rispettando princìpi di equità, e che dobbiamo restituire il tesoretto. Certo, ci vorrà tempo, ci vorranno accordi con i Paesi di provenienza degli immigrati. Ma presto o tardi chi ha versato contributi qui - fosse anche solo per un paio d’anni - vorrà che gli siano restituiti. E il tesoretto si ridimensionerà, per lo meno».

Oltre alle pensioni, il problema incombente è quello della sanità.
«È chiaro che ci sono dei rischi anche per il sistema sanitario, che per ora scricchiola ma tiene. Fra circa quarant’anni in Italia ci saranno 1,2 milioni di ultra novantacinquenni. Oggi sono meno di 200 mila. Tenendo presente che praticamente tutti prendono l’accompagnamento, cioè 500 euro al mese, fate i conti. Moltiplicate 1,2 milioni per 500 euro e otterrete quanto ci costerà tutto questo».

Eppure, dicono i dati dell’istituto «Osserva-Salute», l’aspettativa di vita degli italiani è calata. Per la prima volta dal Dopoguerra siamo di fronte a una inversione di tendenza.

«Diciamo la verità. L’aspettativa di vita degli italiani è già calata quattro volte dal Dopoguerra. Per la precisione nel 1975, nel 1980, nel 1983 e nel 2003. E tutte le volte che è diminuita (di 0,2 massimo 0,3 anni), l’anno dopo è aumentata di 0,6-0,7 anni. Può darsi che succeda anche nel 2016. La tendenza di fondo indica un progressivo aumento della sopravvivenza. E anche per questo bisogna vedere se il sistema sanitario potrà tenersi in piedi».

sito di Libero 

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