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Progetto Verdi: Don Carlos

in onda venerdì 25 ottobre alle ore 20,45

Progetto Verdi: Don Carlos

Il nome di Schiller è assai legato sia al teatro musicale che al catalogo verdiano: suo infatti il dramma con cui ufficialmente si inaugura genere del grand’opéra - il “Guilllaume Tell di Rossini del 1929 – e suoi i testi da cui Giuseppe Verdi ricava il libretto per quattro delle sue opere: “Giovanna d’Arco”, “I Masnadieri”, “Luisa Miller” e Don Carlos.

Nel caso di quest’ultimo titolo, come nell’originale letterario (che annovera tra il 1783 e il 1805 una complessa stesura in prosa e tre in versi, oltre a copiosi rifacimenti) anche l’opera composta da Verdi per Parigi comportò al musicista di Busseto una gran mole di lavoro e vari rimaneggiamenti: dapprima una versione francese in 5 atti alla quale Verdi aveva apportato ancor prima del debutto tagli significativi, poi una versione italiana in quattro atti.

La storia giustappone, come ormai Verdi ci ha abituato, i principali legami umani (quelli familiari padre/figlio – sposo/sposa nonché quello fondamentale dell’amicizia) in una complessa dinamica di intrecci ed incroci; tra essi balza all’evidenza il paradosso del matrimonio tra il vecchio re Filippo II e la giovane Elisabetta, amante riamata dal di lui figlio, don Carlo infante di Spagna; nel dramma, ancora,  altri personaggi basilari ad incarnare altrettanti valori: amore ed invidia (la principessa Eboli, anch’essa innamorata di Carlo), lealtà amicizia e libertà (il conte Rodrigo, fedele a Carlo e difensore appassionato dell’autonomia del popolo delle Fiandre).

Quest’opera è tragedia politica per eccellenza: come anche nel dramma di Schiller, a dispetto del titolo i veri protagonisti sono Filippo II e il Conte di Posa, l’uno ad impersonare l’ottuso assolutismo e l’altro fratellanza e indipendenza; in questa monumentale costruzione drammatica ogni elemento passionale e psicologico viene subordinato alla ragion di stato e alle regole della politica, che incombono sugli affetti proprio come il sacello di Carlo V domina l’atmosfera cupa dell’opera intera.

Potere e libertà sono i due estremi entro i quali si dibatte il pensiero politico di Schiller, nonché la concezione di Verdi, che dalle prime opere abbiamo visto evolversi ampiamente: dalle quasi ingenue istanze filo rivoluzionarie ad un’interiorizzazione (non mai involuzione) della politica come etica dei popoli e del singolo, di cui Macbeth è emblematico quanto negativo esempio.

In quest’opera della maturità verdiana accanto ad atmosfere musicali ben delineate, fatte di ritmi e melodie spagnoleggianti assai orecchiabili, troviamo costruzioni nuove ed assai ardite dal punto di vista armonico, orchestrale, formale e teatrale, dove fanno capolino i futuri Aida ed Otello.

Abbandonata la struttura dell’aria come forma chiusa, pure ne ritroviamo echi lontani e sublimati: la funzione del tradizionale da capo si trasforma divenendo il risultato espressivo di un lavorio interiore, segno del dibattersi di pensieri ed emozioni nell’intimo dei personaggi; ne citiamo ad esempio due celeberrimi frammenti: “Dormirò sol nel manto mio regal” nella scena di Filippo II all’inizio del IV atto e “Tu che le vanità conoscesti del mondo”, cantata da Elisabetta all’aprirsi del V atto.

Il “Don Carlos” impegnò la compagnia e le strutture dell’Opéra di Parigi a tal punto che ancora alla vigilia della prima rappresentazione, nel marzo 1867, Verdi (addolorato per la perdita del vecchio padre) fu costretto a rivedere la partitura apportando ulteriori riduzioni ad un lavoro dalle dimensioni quanto mai ampie, che erano risultate eccessive perfino per il palcoscenico parigino, pur tanto abituato alla grandiosità.

L’esito dello spettacolo fu modesto, e il pubblico francese non dimostrò di capire ed apprezzare appieno l’opera verdiana sulla quale il musicista continuerà a lavorare per diversi anni.

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