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Codici del passato tra antico e moderno

in onda domenica 29 dicembre alle ore 15,30

Codici del passato tra antico e modernoLa musica che ascolteremo nella prima parte del programma odierno proviene da uno dei più antichi documenti musicali italiani a noi noti, il Codice Vaticano Rossi, risalente alla 3a o 4a decade del 1300; contenente 37 composizioni profane, il Codice proviene dall'area veneta, e precisamente dalla corte veronese dei Della Scala dove in quel periodo furono presenti, anche solo di passaggio, personalità come Dante, Petrarca, Fazio degli Uberti, i musicisti Piero e Giovanni da Cascia e Jacopo da Bologna.

Nel repertorio dell'Ars Nova la raffinatezza della composizione musicale è strettamente collegata a quella letteraria; ai testi poetici colti ed elaborati corrisponde nel nostro codice una realizzazione musicale ugualmente raffinata, anche se quasi sperimentale, dei generi profani principali: ballata e madrigale.

Ne troviamo realizzazioni a voce sola, secondo la tradizione monodica di influenza orale e popolare, canzoni a ballo (in cui l'importanza ritmica è sottolineata dalla presenza di strumenti a percussione) ma anche costruzioni polifoniche di madrigali a due e tre parti che preludiano alle canoniche forme del genere a 4 e 5 voci che si definiranno alla fine del 1500.

L'interpretazione è affidata ad un gruppo italiano specializzato nel genere: si tratta dell'Ensemble Micrologus che, partito nel 1984 dalle feste del Calendimaggio di Assisi, svolge il suo percorso tra colto e popolare, tra repertori scritti e ipotesi di tradizione orale; risultati, un'eccellente discografia (con 2 Diapason d'Or e molte critiche a 5 stelle) e una carriera che da anni colloca il gruppo ai vertici del settore.

Dall'abbazia bavarese di Benediktbeuren prende il nome un altro famoso codice che contiene i Carmina Burana, singolare raccolta di canti risalenti alla prima metà del XIII secolo; il manoscritto contiene ben 238 poemi di forma, lingua e argomento differenti: ritmici e metrici, in latino e tedesco, di stampo satirico, moraleggiante, amoroso e religioso.

Pare che il codice sia opera di un'unica mano che volle presumibilmente raccogliere un campionario dei repertori diffusi tra la gioventù dell'epoca, quegli studenti e chierici che spesso irritavano gli ambienti ecclesiastici con la loro goliardia; la vita medioevale è descritta in questi carmi con immagini vivide, talvolta irriverenti, talvolta di una semplice ma intensa poesia: il vino, l'amore, il gioco, le gioie e i piaceri della vita, la giustizia e la salvezza, emergono in questi testi con una freschezza davvero stimolante.

Nel 1803 il manoscritto venne rinvenuto dagli studiosi, e nel tempo il suo contenuto venne variamente interpretato, con molte ricerche sulle parti musicali in esso contenute; nel 1937 le suggestioni del codice benedettino conquistarono un musicista che proprio in Baviera - e precisamente a Monaco - era nato nell'1895 e che vi morì nel 1982: Carl Orff.

Prendendo ispirazione non solo dal nostro codice e dai misteri medievali ma anche da materiale folklorico tedesco e bavarese ed appoggiandosi sulla tradizione della tragedia greca, Orff realizzò la sua opera nella quale tuttora molti identificano i Carmina Burana, senza magari conoscerne la vera origine.

Orff ha immaginato le sue " Cantiones profanae cantoribus et choris cantandae" come una cantata scenica per tre solisti, grande orchestra, due cori, voci bianche, mimi e danzatori nella prima versione (due pianoforti e percussioni nella seconda) e l'ha inserita nei suoi "Trionfi", trittico di cantate di ispirazione arcaicizzante che comprende anche i "Catulli Carmina" e il "Trionfo di Afrodite".

Priva di vera e propria trama, l'opera si offre all'ascolto con una immediatezza estrema in cui molti riconosceranno il celeberrimo e quasi tautologico "O Fortuna", simbolico Prologo e Finale di questo grandioso affresco.


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