Scatti di scena

Note di regia

Ambrogio Lo Giudice

Quando mi hanno proposto la seconda serie di Terra Ribelle ho voluto leggere subito le sceneggiature e sono rimasto incuriosito dall’originalità e dalle potenzialità della storia, capace di raccontare i sentimenti esplorando però vari generi di scrittura.
Simile a un feuilleton ottocentesco, dominato quindi fortemente dal melodramma ma ricco di contaminazioni di genere, Terra Ribelle mi ha permesso di sperimentare in un’unica serie diversi approcci di regia, dall’action al dramma, dal film d’avventura al giallo.
Del resto è questo il punto di forza della fiction italiana, offrire un ventaglio di storie anche più vasto di quello che il cinema italiano ha offerto negli ultimi anni. Per un regista, una serie del genere, per niente seduta ma fortemente dinamica, è diventata un vero e proprio laboratorio di idee e di allenamento allo sguardo.
Ma prima e più di tutto la realizzazione di questa fiction mi ha permesso di rappresentare un mondo straordinario ed esotico, a volte vero e realistico, altre di pura fantasia, dove ogni dettaglio è il risultato di una scelta che mira a costruire un universo nuovo ma riconoscibile come specifico di Terra Ribelle e dove la storia può combinarsi con l’immaginazione, il possibile con l’incredibile, l’amore con l’odio, la vendetta con la passione.
Ad aiutarmi in questo lavoro di definizione di una geografia immaginaria e vera alla stessa maniera, la scelta produttiva audace di accedere a scenari mai banali e mozzafiato dove i protagonisti si perdono dietro mille insidie reali e dell’anima per ritrovare la propria bambina: dalla Roma austera e regale alla Maremma dimenticata; dalla Buenos Aires dei primi del Novecento ai deserti aridi e sabbiosi di Mendoza; dai canyon pietrosi alla pampa riarsa; dai boschi impenetrabili alle cascate di Iguazu; dall’inferno tutto ricostruito delle cave per l’estrazione dell’argento ai villaggi desolati e fuori dal mondo; tutto girato tra l’Italia e l’America del Sud, nella convinzione che raccontare una storia significhi anche raccontare dei luoghi.
Solo la partecipazione al progetto da parte di molte professionalità vivaci mi ha permesso di affrontare con la giusta serenità e un pizzico di leggerezza, un’impresa così anomala e complicata nel panorama televisivo italiano: prima fra tutte quelle di due produttori come Alessandro Jacchia e Maurizio Momi; l’insostituibile presenza del direttore della fotografia Marcelo Camorino; l’attenta ricerca della scenografa Cristina Nigro; l’instancabile cura dei dettagli da parte della costumista Francesca Brunori. Senza tutti questi tasselli non saremmo mai riusciti a condurre lo spettatore in una dimensione lontana dall’esperienza quotidiana, dove sognare insieme ai nostri eroi.
Anche con gli attori è stata una scommessa da vincere, la posta in gioco stava nel raccontare la “sottile linea d’ombra” che i personaggi sono chiamati ad attraversare per crescere davvero, compiendo prove estreme e rinunce dolorose, superando il timore di abbandonare una vita serena e protetta per intraprendere una strada ignota e pericolosa.
Andrea ed Elena non sono più gli stessi giovani ragazzi della serie precedente, sono cresciuti, sono diventati adulti eppure il viaggio alla ricerca di se stessi non è ancora finito.
Quando la storia ha inizio si amano, hanno una vita felice, una figlia, progetti per il futuro, ma d’improvviso un’oscura vendetta fa deflagrare il loro mondo e devono partire per un viaggio che li porterà a cercare lontano, molto lontano, il senso della loro unione. Dovranno chiedersi se il vero amore esiste davvero, se la felicità dura per sempre, se sono pronti ad affrontare ciò che il destino ha in serbo per loro e non avranno risposte certe ad attenderli. Perché, pur se personaggi, in fondo sono un po’ come tutti noi davanti all’ignoto, in balia insieme della paura e dell’eccitazione per quello che ci aspetta.

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