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Grandi direttori: Iván Fischer

in onda martedì 9 ottobre alle ore 12,00

Grandi direttori: Iván Fischer "Un musicista d'orchestra è un artista, non un impiegato" ha scritto Iván Fischer a proposito dell'orchestra da lui fondata con Zoltán Kocsis nel 1983, la Budapest Festival Orchestra. "Agli artisti deve essere data l'opportunità di prendere iniziative, di essere creativi. Solo un'orchestra di veri artisti che fanno musica come un gruppo altamente disciplinato è in grado di farsi interprete dei sogni dei compositori, trasmettendo agli ascoltatori un'esperienza capace di elevarne l'anima, toccandone in profondità il cuore."

Valorizzare i componenti dell'orchestra e l'attività cameristica è stato al centro del suo innovativo metodo di lavoro che ha condotto l'orchestra ungherese a divenire una delle più richieste dai grandi festival internazionali.

L'originale direttore d'orchestra ungherese ha anche introdotto nuove tipologie di esecuzioni pubbliche, come i "Concerti cacao" pensati per i bambini, i "Concerti sorpresa" che presentano un programma non annunciato, "Concerti un fiorino" durante i quali il direttore parla con il pubblico, concerti all'aperto a Budapest che attraggono decine di migliaia di spettatori.

Nato nel 1951 a Budapest, Iván Fischer ha studiato pianoforte, violino, violoncello, composizione e si è diplomato in direzione d'orchestra nella celebre classe di Hans Swarowsky a Vienna. Per due stagioni è stato assistente di Nikolaus Harnoncourt e ha subito cominciato una rapida carriera nel 1976 con la vittoria al Concorso della Rupert Foundation a Londra. Oggi come direttore ospite è spesso alla guida di orchestre quali i Berliner Philharmoniker, i Münchener Philharmoniker, la Royal Concertgebouw di Amsterdam, i New York e Israel Philharmonic, l'Orchestre de Paris.

Il programma a lui dedicato lo vede alla testa della Budapest Festival Orchestra, di cui dopo 23 anni è ancora oggi il direttore musicale, nell'esecuzione della Sinfonia n. 9 in do maggiore, detta "La grande", D 944 di Franz Schubert. Soprannominata in questo modo per le sue vaste dimensioni e per distinguerla dalla precedente sinfonia in do maggiore, la sesta, detta die Kleine (La piccola), questa è l'ultima sinfonia composta per intero da Schubert.

Terminata nel 1828, anno della morte del musicista, e iniziata già nel 1825, la composizione ebbe una storia alquanto travagliata. Schubert dovette anche subire un umiliante rifiuto da parte della Società degli Amici della Musica di Vienna di eseguire la sua opera. Le motivazioni furono attribuite all'eccessiva lunghezza e all'estrema difficoltà di esecuzione. La partitura fu presto dimenticata.

Si deve a Robert Schumann il merito di averla riportata alla luce: nel 1839 si recò a Vienna, dove visitò il fratello di Franz Schubert, Ferdinand. Ottenuto l'accesso alle carte del compositore, Schumann scoprì il manoscritto dell'ultima sinfonia, che propose subito al direttore del Gewandhaus di Lipsia, ovvero Felix Mendelssohn. Della fortunata prima esecuzione del 21 marzo 1839 Schumann scrisse sulla "Neue Zeitschrift fur Musik" un entusiastico articolo critico in cui parlò di "completa indipendenza da Beethoven" e di "divina lunghezza".

La sorprendentemente ricchezza dell'invenzione melodica è sorretta da una unità strutturale molto solida che sfocia nel Finale, coronamento e summa di tutte le proposte tematiche, dove si fondono, per dirla con le parole di Schumann, "i germi di una eterna giovinezza".

Il programma si conclude con l'ascolto di Il mandarino meraviglioso, pantomima in un atto op. 19 di Bela Bartok.


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