Christian Arming: Schumann Sinfonia n. 1 op. 38 “Primavera”

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Christian Arming direttore

     

    Robert Schumann
    Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore op. 38 Primavera
    Andante un poco maestoso - Allegro molto vivace - Animato
    Larghetto
    Scherzo. Molto vivace - Trio I. Molto più vivace - Trio II - Coda
    Allegro animato e grazioso - Andante - Poco a poco accelerando

     

    L’anno sinfonico
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Archiviata felicemente nel 1840 la spinosa questione del matrimonio con Clara Wieck, dopo anni di separazione e un processo ai danni del futuro suocero, per Schumann era arrivato il momento della serenità. Gli anni delle grandi battaglie cominciavano ad allontanarsi. Quel sogno di cambiare la società che aveva accompagnato il periodo delle composizioni pianistiche stava svanendo. Davide non era più in lotta contro i Filistei: l’ultima pagina del Carnaval si stava trasformando in un ricordo evanescente. Era il momento di voltare pagina. Dopo dieci anni dedicati esclusivamente al pianoforte, Schumann sentiva il bisogno di sperimentare altri territori espressivi:
    Ho la tentazione di distruggere il mio pianoforte: è diventato troppo angusto per contenere le mie idee. Ho davvero ben poca esperienza in fatto di musica orchestrale, ma non dispero di acquisirne.
    Dopo le ricerche del 1840, l’anno dei Lieder, nel 1841 fu il momento della grande orchestra. Non era il primo passo; qualche timido tentativo risaliva addirittura al 1832; ma niente di serio. Solo in quel periodo Schumann sentiva il coraggio di affrontare la sinfonia, quella creatura spaventosa che era in cerca d’autore dal 1824, l’anno della Nona di Beethoven. I frutti di quella rinnovata sensibilità furono l’Ouverture, Scherzo e Finale op. 52, la Fantasia in la minore per pianoforte e orchestra (prima versione del Concerto), la prima stesura della Sinfonia in re minore (ritirata e pubblicata in una versione profondamente rielaborata nel 1853 come n. 4) e una Sinfonia in do minore di cui ci sono pervenuti solo alcuni schizzi. Ma il segno più incisivo venne dalla Sinfonia “Primavera”, composta di getto all’inizio dell’anno e destinata a rimanere la prima del corpus. Difficile stabilire il senso di quell’intitolazione programmatica: forse un verso del poeta Adolph Bottger, forse una citazione dal ciclo pianistico Kreisleriana legata al tema della primavera. Schumann non era tipo da trasmettere con chiarezza le sue intenzioni extramusicali; del resto l’unica vera critica rivolta alla Sinfonia fantastica di Berlioz riguardava proprio quel programma così dettagliato: un vincolo troppo forte per l’immaginazione dell’ascoltatore. E la conferma viene giustappunto dalla scelta di eliminare nella bozza di stampa i titoli assegnati ai singoli movimenti: Frühlingsbeginn (Inizio di primavera), Abend (Sera), Frohe Gespielen (Allegri compagni di gioco) e Voller Frühling (Piena primavera). Tutti tentativi per cercare di girare alla larga dalla Sinfonia “Pastorale” di Beethoven.

    D’altra parte quei titoli non sarebbero stati necessari; perche Schumann riesce perfettamente nell’intento di esprimere qualcosa che prende forma gradualmente, proprio come una stagione in continua crescita. C’è qualcosa di stentato nell’introduzione al primo movimento; come se le emozioni facessero fatica a trovare la loro strada. Ci vuole un cinguettio del flauto per aprire il sipario su un orizzonte en plein air, che pulsa di gioviale entusiasmo. Il secondo tema affidato a clarinetti e fagotti ha la grazia bucolica delle idee sinfoniche schubertiane. Ma ciò che calamita l’attenzione dell’ascoltatore è il ritmo trotterellante del primo tema, il vero protagonista del movimento con il suo andamento frettoloso e scorrevole. Smette di pulsare solo nel corale conclusivo, quando una nota di spiritualità scende sullo spaccato naturalistico pitturato nelle pagine precedenti. Segue un Larghetto calmo come una prateria al tramonto; la melodia principale si distende in tutta la sua lunghezza, lasciandosi morbidamente cullare da alcune varianti melodiche. Ed è come se il suo desiderio di ampiezza si estendesse al successivo Scherzo, che prende le mosse dall’inciso su cui si era aperto il Larghetto: una dissolvenza incrociata preparata dalla solenne voce del trombone in coda al movimento lento. Tutto sembra annunciare l’avvento di una pagina rigogliosa; ed ecco apparire il Finale, con la sua mozartiana freschezza, con le sue piroette danzanti prese a prestito dal Carnaval. L’ironia non conosce i contrasti violenti del decennio precedente; una sorta di invito alle danze chiude con gioia controllata una sinfonia che tenta di dimenticare i lati oscuri dell’esistenza. Solo una breve citazione da Kreisleriana riporta alla memoria le sofferte emozioni delle pagine pianistiche; ma Schumann cerca di osservare la natura con il distacco del Settecento, come se quell’eterna rinascita non gli ricordasse il confine mortale dell’esistenza umana.


    Schumann sul podio

    La Prima sinfonia di Schumann fu diretta da Mendelssohn al Gewandhaus di Lipsia nel 1841. In quell’occasione l’autore preferì rimanere in platea a godersi l’esecuzione. Ma la situazione era destinata a divenire piuttosto frequente, visto che Schumann non era affatto un buon direttore. Ogni occasione in cui fu costretto a salire sul podio fu un fallimento. A Lipsia era stimato da tutti, ma quando dirigeva nessuno riusciva a trattenersi dallo sghignazzare. Schumann era molto miope; avrebbe dovuto ricorrere agli occhiali per leggere la partitura, ma dopo svariati tentativi si risolse a dirigere senza lenti, aiutandosi solo con una traballante lorgnette. Cosi Ferdinand David, primo violino dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia, ricordava le prove di Das Paradies und die Peri: Schumann ha fatto quattro prove d’orchestra della Peri, ma avrebbe potuto farne ancora altre dieci e nulla sarebbe migliorato. L’unica persona che capiva qualcosa delle sue osservazioni era la sua bacchetta, che teneva sempre davanti alla bocca quando parlava, tutti gli altri non sentivano nulla e così tutti i lipsiensi dovettero mettere la loro buona volontà affinchè il concerto e le cose andassero in modo passabile.

    Schumann si rivolgeva agli orchestrali con un filo di voce e in maniera spesso incomprensibile; quando dirigeva, si immergeva nella partitura perdendo completamente il contatto visivo con l’orchestra. Non riusciva assolutamente a tenere la disciplina e non era raro che si rendesse necessaria la presenza più autoritaria della moglie Clara, per consentire la serena prosecuzione delle prove. Tutti questi difetti potevano essere considerati trascurabili finché Schumann dirigeva due o tre concerti all’anno; ma divennero assolutamente intollerabili a Dusseldorf, alla Direzione della Società Corale, dove la frequenza degli impegni imponeva una tecnica adeguata. Fu così che a pochi mesi dalla nomina Schumann cominciò a farsi sostituire regolarmente dal suo assistente Julius Tausch fino a guadagnarsi il definitivo sollevamento dall’incarico.
    ANDREA MALVANO

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