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Libri della settimana

Francesco Erbani

Pompei, Italia
Feltrinelli

“Pompei crolla”, “Pompei inaccessibile e transennata”, “Pompei ingovernabile”. Titoli di cronaca, ogni giorno che passa sempre meno sorprendenti. Dietro questi titoli c’è una storia millenaria di arte, distruzione e archeologia. Ci sono secoli di scoperte, visite, fascino e leggende. Ci sono decenni di convivenza con un territorio sempre più urbano e sempre più degradato, con una popolazione di cui sono cresciuti sia i numeri sia i problemi, con uno Stato che ne ha fatte un po’ di tutti i colori.
Raccontare Pompei, come fa Francesco Erbani in questo libro, è meritorio di per sé, perché illumina un luogo in cui si giocano alcuni temi fondamentali del passato, del presente e del futuro dell’Italia: la gestione dei beni culturali tra emergenza e manutenzione, l’uso e l’abuso del territorio in un paese che ha la più alta densità di bellezza del mondo, l’importanza del turismo come volano economico e il rischio che lo stesso turismo distrugga invece di costruire. E così via.

Ma raccontare Pompei, oggi, significa anche farsi rapire dalla forza delle metafore e delle allegorie, perché la città distrutta e sepolta dal Vesuvio diventa ben presto in questo libro di Erbani l’Italia intera: i problemi e le soluzioni tentate, i disastri accidentali e quelli colpevoli, il folto cast di personaggi che popola la scena (commissari e camorristi, archeologi e vescovi, artigiani e disoccupati) rimandano a un microcosmo che rispecchia perfettamente il macrocosmo italiano.

Anche per questo, raccontare Pompei è necessario.

Pompei è una metafora della condizione generale del nostro patrimonio storico, di un atteggiamento politico, culturale e finanche antropologico fondato sulle emergenze; dei rapporti fra l’Italia e il resto del mondo e in particolare con l’Europa; della dialettica fra la Grande Opera e la manutenzione puntuale, fra intervento pubblico e privato, fra conservazione e fruizione. Pompei è una metafora dello stato del nostro paese.

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Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio da dieci anni e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto due libri (“La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), ha un blog, è su twitter, ha votato Rosa nel Pugno e Partito democratico. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Il 7 gennaio 2012 è diventato papà.

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